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I sedimenti argillosi saturi possono favorire terremoti superficiali nelle zone di subduzione

I sedimenti argillosi saturi in fluidi che caratterizzano la parte più superficiale delle zone di subduzione possono favorire i terremoti in grado di generare tsunami. È questo il risultato, pubblicato sulla rivista Nature Communications, ottenuto da un team di ricerca guidato dall’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia (INGV) di Roma che ha visto coinvolti l’Università di Pisa, l’University College London e il Dipartimento di Geoscienze dell’Università di Padova.

Lo studio è basato sull’analisi di campioni provenienti dal Pāpaku thrust, una faglia tsunamigenetica situata nella zona di subduzione di Hikurangi (Nuova Zelanda), e raccolti durante l’Integrated Ocean Drilling Program (IODP) Expedition 375 del 2019. Come spiega il dott. Stefano Aretusini, ricercatore presso l’INGV e primo autore dell’articolo, “analizzando in laboratorio il comportamento dei campioni prelevati nella zona di subduzione di Hikurangi, abbiamo scoperto che le argille presenti tendono ad avere una bassa resistenza alle spinte sismiche a causa dell’acqua in pressione che trattengono al loro interno”.

Più nel dettaglio, gli esperimenti sono stati effettuati presso il Laboratorio Alta Pressione e Alte Temperature (HP-HT) dell’INGV utilizzando SHIVA (Slow to HIgh Velocity Apparatus), un sistema progettato per riprodurre in laboratorio il “motore” dei terremoti e finanziato dall’European Research Council su un progetto diretto dal prof. Giulio Di Toro del Dipartimento di Geoscienze e coautore dell’articolo. “SHIVA è un apparato sperimentale estremamente versatile progettato per studiare l’attrito nelle rocce e in altri materiali", spiega il prof. Di Toro, "ed è il risultato di una collaborazione più che decennale tra il nostro Dipartimento e l’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia. Insieme a RoSA (Low to High Velocity Rotary Shear Apparatus), una seconda macchina sperimentale installata presso il nostro Dipartimento e in grado di riprodurre le elevate temperature e pressioni all’interno della crosta terrestre dove 'nascono' e si propagano i terremoti, le due macchine costituiscono un unicum a livello mondiale per studiare la meccanica dei terremoti”.

In futuro, conclude il dott. Aretusini, “saranno analizzati con lo stesso metodo anche altri tipi di materiali campionati durante la missione per cercare di comprendere quali tra essi possono favorire il processo di scuotimento sismico una volta arrivati a profondità sismogenetiche in zona di subduzione”.


 

  1. La “megafaglia” della zona di subduzione secondo il modello attualmente accettato (Bilek and Lay, 2002) è costituita da aree lateralmente non omogenee dal punto di vista sismico. In alcune aree, indicate in grigio scuro, la stella gialla indica la posizione dove possono originare i terremoti causa di tsunami.
  2. Ingrandimento al fronte di scorrimento sismico: mentre la rottura sismica (disco grigio) attraversa la megafaglia da sinistra verso destra alla velocità di alcuni chilometri al secondo, appena dietro, le rocce attorno alla megafaglia scorrono relativamente l’una rispetto all’altra ad una velocità (linea rossa) di alcuni metri al secondo. La faglia nel mezzo oppone una resistenza, (τ, linea nera, 30-300 atmosfere), che evolve in risposta alla pressione dell’acqua (P, linea blu, 10-100 atmosfere). Quando la pressione dell’acqua aumenta, “sollevando” la faglia, la resistenza diminuisce.

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