Acquedotto romano di Padova: ricostruito il tracciato dell'opera che portava l'acqua in città
Con un percorso di quasi 24 km, di cui 12 circa al di sopra del cosiddetto Arzeron della Regina, l'acquedotto romano di Padova partiva dalla fascia delle risorgive per portare l’acqua fino alla città.
A ricostruire il tracciato dell’opera, aggiungendo quindi un importante tassello per la conoscenza della storia antica di Padova, sono state le indagini archeologiche dirette da Matteo Frassine della Soprintendenza Archeologia, Belle Arti e Paesaggio per l'Area Metropolitana di Venezia e le Province di Belluno, Padova e Treviso e Simonetta Bonomi, già Soprintendenza ABAP per il Friuli Venezia Giulia.
Il Dipartimento di Geoscienze dell'Università di Padova ha collaborato per gli aspetti geoarcheologici consentendo di fare luce sul ruolo dell'Arzeron della Regina, un argine in terra oggi solo in parte conservato, in passato ritenuto una struttura funzionale al passaggio di un asse viario sulla sua sommità o per la difesa idraulica dalle piene del fiume Brenta.
L’acquedotto era alimentato dalle acque di risorgiva e il punto di captazione doveva collocarsi nei dintorni della località Fontanon del Diavolo (Gazzo Padovano).
I risultati delle indagini sono stati recentemente presentati al pubblico in occasione di un incontro che si è svolto a Palazzo Folco, sede della Soprintendenza, nell’ambito del Piano di valorizzazione dei luoghi della cultura 2024. La conferenza, intitolata “L'acquedotto romano di Padova e l'Arzeron della Regina. Un unicum nel panorama dell'idraulica antica?” ha consentito di approfondire le peculiarità di questa struttura che garantiva l’approvvigionamento idrico alla città e che si ritiene sia stata realizzata nell’ultimo quarto del I secolo a.C.
“Questo acquedotto inizia dalla zona delle risorgive, da un'area denominata Fontanon del Diavolo, in comune di Gazzo Padovano e per quasi metà del suo percorso, lungo 24 km, corre ipogeo, ovvero interrato. Nella zona di Boschiera, località ad occidente di Piazzola sul Brenta, l’acquedotto infatti inizia a salire su un terrapieno che è noto con il nome di Arzeron della Regina”, spiega Matteo Frassine.
“Attraverso il nostro lavoro abbiamo potuto dimostrare che non era un argine idraulico, cioè non era a funzione di protezione dalle alluvioni, in quanto la zona era molto stabile e le acque del Brenta non arrivano più nell’area da 20.000 anni”, aggiunge Alessandro Fontana, professore del Dipartimento di Geoscienze dell'Università di Padova che ha curato gli studi sugli aspetti geomorfologici e idraulici insieme ai colleghi Paolo Mozzi e Andrea D’Alpaos.
“Abbiamo inoltre calcolato la possibile portata di questo acquedotto e sappiamo che nella zona di Montà e poi arrivando fino in centro, poteva avere una portata di alcune centinaia di metri cubi all'ora, quindi una quantità molto significativa, comparabile a quella di altri acquedotti romani”, sottolinea il docente.
Capita la funzione reale dell’Arzeron della Regina quale indiscutibile elemento per il sostegno dell’acquedotto romano di Padova ora l’interesse degli studiosi si è spostato verso un’altra struttura che potrebbe essere analoga ovvero il cosiddetto Lagozzo o via Claudia Augusta Altinate. Questo terrapieno, smantellato negli anni ‘30 del secolo scorso, potrebbe in realtà non essere una strada in rilevato, come da sempre ritenuto, bensì un terrapieno analogo a quello patavino e quindi un elemento di sostegno dell’acquedotto che alimentava la città romana di Altino.