Un nuovo studio descrive l’architettura della faglia di Bolfin nel deserto di Atacama (Cile)
Conoscere nel dettaglio l’architettura delle faglie e quindi la loro struttura interna è di fondamentale importanza per una migliore comprensione della meccanica dei terremoti. Spesso però le faglie non sono ben esposte in superficie perché sono coperte dalla vegetazione o da depositi. Un ulteriore problema consiste nel fatto che in diverse aree del mondo, compresa l’Italia, le parti esposte sono di frequente troppo superficiali e dunque non rappresentative delle profondità a cui nascono i terremoti.
Per questo motivo da diversi anni il Dipartimento di Geoscienze dell’Università degli Studi di Padova conduce missioni scientifiche nel deserto di Atacama in Cile, dove l’assenza di vegetazione consente di osservare in superficie faglie che, circa 120 milioni di anni fa, erano capaci di generare terremoti fino a magnitudo 6.5–7.0.
Un nuovo studio, recentemente pubblicato su Journal of Structural Geology, ha descritto l’architettura della faglia di Bolfin e come questa varia lungo decine di chilometri di esposizione, portando a risultati che migliorano anche la comprensione dell’interazione tra fluidi e rocce a profondità sismogeniche e dei processi legati ad un particolare tipo di sequenze sismiche, gli sciami sismici.
“Sappiamo che queste faglie erano sismogenetiche perché abbiamo trovato pseudotachiliti, rocce che si fondono durante un terremoto per gli sforzi che avvengono sul piano di faglia e poi risolidificano”, introduce Simone Masoch, dottorando del Dipartimento di Geoscienze e primo autore dello studio.
“Abbiamo inoltre trovato networks di vene che, sulla base delle varie osservazioni microstrutturali e di terreno ed effettuando delle comparazioni con strutture attualmente attive, ci consentono di ottenere informazioni su un particolare tipo di sismicità, gli sciami sismici, che sono sequenze diverse dalle sequenze di mainshock-aftershock. Si tratta di sequenze sismiche tipiche di ambienti vulcanici e idrotermali in cui i terremoti sono in genere di magnitudo 3-4 e i gli eventi sismici avvengono in un periodo di tempo che può variare da alcune settimane ad alcuni mesi”.
L'intensa interazione fluido-roccia che interessa tutti gli elementi strutturali della zona di faglia di Bolfin attesta inoltre un'estesa circolazione di fluidi idrotermali durante l'antica attività sismica dell’area.
“Abbiamo scoperto che queste sequenze sismiche erano innescate dall’ingresso di fluidi nelle zone di faglia e questo ha implicazioni dal punto di vista pratico perché sono degli analoghi di quello che succede durante l’iniezione di fluidi in profondità a scopi geotermici o durante lo stoccaggio della CO2, per esempio. Questo è quindi di interesse perché possiamo capire dallo studio di queste rocce di faglia quello che può succedere durante le varie attività estrattive e applicative umane”, conclude Simone Masoch.
Questo lavoro è stato condotto anche dal Prof. Giulio Di Toro, dal Prof. Giorgio Pennacchioni, dal Dr. Rodrigo Gomila e dal Dr. Michele Fondriest del Dipartimento di Geoscienze dell’Università di Padova, in collaborazione con un team internazionale composto dal Dr. Erik Jensen (National Research Center for Integrated Natural Disaster Management - Santiago, Cile), dal Prof. Thomas Mitchell (Department of Earth Sciences, University College London - Londra, Regno Unito) e dal Prof. José Cembrano (Departamento de Ingeniería Estructural y Geotécnica, Pontificia Universidad Católica de Chile - Santiago, Cile).